Se anche prima di tale momento, infatti, può succedere che insorgano difficoltà nella scrittura, queste sono molto di rado legate a disgrafie, e più probabilmente dipendono semplicemente – come capita normalmente nei primi due anni delle elementari – dall’effettiva complessità insita nell’apprendere un intero sistema di scrittura, e sono quindi un normale momento dell’apprendimento. Intorno agli otto anni, invece, quando il gesto scrittorio deve essere interiorizzato e quindi può farsi strada la spontaneità, possono comparire effettivi sintomi di disgrafia: cattiva impugnatura dello strumento scrittorio, gestione difficoltosa dello spazio di scrittura, con mancato rispetto dei margini, andamento oscillante del rigo, ed errata spaziatura fra i grafemi, e anche tensione, spesso dolorosa, dei muscoli della mano, rilevabile dall’esagerata pressione sul foglio. Talvolta insorgono anche casi di inversione del gesto, o sui singoli grafemi o addirittura sull’intera scrittura.
Quali saranno dunque i tratti di una terapia grafomotoria che possa avere ricadute positive sul problema? Di solito, si preferisce operare sue due itinerari paralleli, ma mantenerli distinti, lavorando con delle attività di esercizio-gioco che siano calibrate per dare, pur avendo obiettivi di termine medio-lungo, dei risultati rapidi, così da generare soddisfazione, entusiasmo e quindi ulteriore motivazione a proseguire, nonostante le difficoltà, sul percorso di terapia: il primo di questi itinerari è legato a basilari competenze come equilibrio, coordinazione, percezione e ritmo, mentre l’altro ha un legame più stretto con la concreta attività scrittoria, sia in stampato maiuscolo che in corsivo, per impostare correttamente la riproduzione dei grafemi e facilitare in ultima analisi al soggetto in questione la comunicazione tramite scrittura.